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L’Artista, giunto ormai ai 40 anni di intensa attività e di battaglie artistiche – l’una e le altre esposte nella scorsa primavera in quella che non ha esitato a definire “la mostra della sua vita” al Museo Archeologico di Fiesole – ha attentamente selezionato 100  opere dal suo sterminato archivio, appositamente per questa sua pagina web.

Si tratta di una numerosa ma accurata scelta di opere che ripercorrono, dagli esordi degli anni Settanta fino alle monumentali opere pubbliche di questi ultimi anni, il lungo cammino intrapreso.
Si passa infatti dall’approfondita opera di ricerca degli inizi, caratterizzata dalle atmosfere rarefatte degli interni e dei paesaggi quali  Figura con Firenze in fondo, che testimoniano la personale rilettura di Bueno, Annigoni e dei Pittori moderni della realtà, ad opere come  Santa Croce,  costruite su suggestioni spaziali insieme classiche e metafisiche,  fino all’ attuale confronto con i miti più popolarmente conosciuti come il ciclo dedicato al Cinema o ai Maestri del Novecento, testimoniati qui da quadri come Una carezza per Anna e  L’amante metafisica.

Della metafisica darà poi una sua originale  interpretazione, poetica e venata di deliziose cadenze, che si specchia  sia nel ciclo degli Innamorati e dei Viandanti che nelle grandi composizioni mitiche di opere come Ratto di Europa e Apollo e Dafne.

Ma nessuno come Giovanni Faccenda nel suo saggio “Al confine tra il certo e il vago: escursioni pop di un nuovo realismo magico”, di cui qui di seguito riportiamo un brano, ha saputo tracciare con sapienza e sensibilità il percorso storico-critico di questo Artista colto e raffinato che ha attraversato i travagliati 40 anni a cavallo dei due millenni  con taglio modernissimo pur mantenendosi immune ad ogni moda del momento.

 

“… Nardoni comincia così a distinguersi per una iconografia abitata da varie peculiarità che gli valgono l’apprezzamento del pubblico e della critica.
È, principalmente, quella penombra magica e fortemente evocativa, che sigilla come in uno scrigno segreto le diverse composizioni di oggetti/soggetti, ad affascinare lo spettatore: vi si mescolano, invisibili, alterni stati d’animo e qualche trepidazione, nella crescente consistenza di un pulviscolo che occulta altre recondite impressioni.

La pittura si offre in tutta la sua misteriosa suggestione: godibile, già all’approccio, nella ricchezza degli impasti e la raffinata stesura, rapisce coloro che si spingono più in profondità per la sapiente orchestrazione dei toni.
Bagliori rarefatti, diresti spirituali, tendono inoltre ad accendere, con arcane accezioni, il senso di immagini come sospese nel tempo.
Uno sviluppo – e non una svolta –, consequenziale e coerente, interviene a caratterizzare l’opera di Nardoni all’inizio degli anni Novanta.

Si ampliano i temi, mutano i fondali.
Scene vagheggiate di miti e di uomini interrompono a tratti le vertiginose prospettive di mirabili paesaggi, e tra scoperta e memoria l’esercizio del pittore dà ora conto di singolari accadimenti in molte enigmatiche rappresentazioni.
Anche la figura umana – lo si evince da una serie di eccellenti ritratti – esprime in questo frangente urgenze discordanti: le accomuna uno scavo intenso e complicato, condotto in quei territori dello spirito perpetuamente immacolati.

Nardoni pare guardare al buono che è in ogni uomo, alle virtù che elevano un’esistenza, sebbene egli conosca e finemente descriva – in emblematiche allegorie – quel bizzarro, talvolta affannoso mestiere che è il vivere.  
Ancora qualcosa di significativo succede, nella storia del pittore, all’alba del nuovo millennio.
Egli è ormai un artista di successo, conosciuto e stimato; nonostante questo, assai distante da lui rimane ogni pericolosa forma di appagamento.

Due cicli pittorici di rilevante spessore – gli omaggi ai Maestri e i miti del cinema – compendiano e sviluppano un sempre più serrato itinerario intellettuale.
Vi collimano il passato e il presente di Nardoni; in alcuni esiti, vi è persino dato di scorgere una parte del suo futuro.
Il ricorso al simbolo mediatico o alla citazione sposta in un contesto pop ogni contributo figurativo.

Con lo stesso fine concettuale con il quale Lichtenstein «usa» i personaggi dei cartoni animati, Rauschenberg le bottiglie di Coca Cola, Warhol le confezioni di zuppa Campbell’s o i volti di star famose, Nardoni adotta riferimenti visivi conosciuti e li inserisce all’interno del proprio teatro immaginario, ove la maschera di Arlecchino – ricorrente al pari di suonatori, danzatrici e circensi – è da considerarsi, in questo senso, primitivo modello.

Che tutto questo avvenga con encomiabili esempi di pittura – e non attraverso l’algida tecnica della serigrafia utilizzata da numerosi artisti americani – è merito cospicuo di un autore mantenutosi indifferente ad ogni moda del momento.
Conosciamo, del resto, la natura, l’impegno e l’immutabile serietà di Nardoni.
Lontano da omologazioni, volgari apparentamenti, pretestuose prese di posizione, egli continua ad offrirci, ispirato come pochi, un patrimonio di valori e di bellezza, divenuto purtroppo raro.”